Cronaca

Processo morte Lorenz Renda, la parola alla parte civile e alla difesa

Nuova udienza fiume stamane, davanti alla Corte d'Assise presieduta da Angelo Pellino - giudice a latere Samuele Corso - del processo contro Aminta Al...

Ornella Fulco

Nuova udienza fiume stamane, davanti alla Corte d'Assise presieduta da Angelo Pellino - giudice a latere Samuele Corso - del processo contro Aminta Altamirano Guerrero, la 35enne messicana accusata di aver ucciso, con una overdose di un farmaco antidepressivo, il figlio Lorenz Renda di cinque anni. Oggi è stata la volta delle conclusioni della parte civile, rappresentata dall'avvocato Pietro Maria Vitiello, e della difesa, rappresentata dagli avvocati Baldassare Lauria e Caterina Gruppuso. Presente in aula il padre del bambino, il pizzaiolo alcamese Enzo Renda. Nella sua arringa Vitiello ha puntato sul carattere della donna, descritta come "possessiva e aggressiva e con atteggiamenti prevaricatori" nei confronti del compagno che sarebbe stato da questa "manipolato affettivamente" e avrebbe subito, per amore del figlioletto, "angherie, soprusi e violenze, anche sul lavoro" da Aminta Altamirano Guerrero a cui ha poi deciso di sottrarsi interrompendo il rapporto sentimentale con la donna. L'avvocato della parte civile ha anche parlato di una "rete" tessuta dalla messicana attorno ad Enzo Renda e alla sua famiglia per far credere ad amici e conoscenti alcamesi che "fossero loro i cattivi". Da qui - secondo la sua tesi - la denuncia per maltrattamenti e mancato mantenimento presentata contro il compagno che, "invece, dopo aver trovato lavoro in Germania, le inviava regolarmente 550 euro al mese per il bambino e per pagare l'affitto" della casa di via Amendola dove madre e figlio erano rimasti a vivere. Secondo l'avvocato Vitiello gli elementi che supportano la tesi della colpevolezza di Aminta Altamirano Guerrero sarebbero, soprattutto, il contenuto di alcune conversazioni con amici in cui manifestava il desiderio di "farla finita" a causa delle difficili condizioni economiche in cui si trovava e una sorta di "ultime volontà", ritrovate su un foglio accartocciato, in cui chiedeva per sé e il bambino - in caso di morte - di non essere sottoposti ad autopsia, di essere cremati e che le ceneri fossero disperse sull'isola messicana di Cozumel. "Da questo processo - ha proseguito Vitiello - non è possibile per l'imputata uscire assolta. O si tratta di un omicidio colposo o di un omicidio doloso. La morte di Lorenz non è colposa perchè sulla boccetta di Laroxyl non vennero trovate impronte digitali né dell'imputata né del bambino e - anche se la Polizia scientifica ha detto che ciò potrebbe essere dovuto allo sversamento del liquido contenuto - ciò si scontra con la circostanza riferita dall'imputata che nel flaconcino fosse rimasto un piccolo quantitativo di farmaco. Era, forse, suo interesse non farle ritrovare, quelle impronte". L'avvocato della parte civile ha anche suggerito che il ritrovamento, da parte dei periti nominati dai giudici, di tracce del DNA del bambino, non solo sul tappo e sull'esterno del flacone ma anche all'interno del collo del contenitore, possa essere spiegato in un contesto di "gioco" tra madre e figlio e che Lorenz potrebbe semplicemente "aver infilato un ditino nella boccetta" piuttosto che averla avvicinata alla bocca, "dato che il Laroxyl ha un sapore estremamente sgradevole e intollerabile anche per le persone adulte". C'è poi il testo dell'SMS inviato dall'imputata all'amica Maria Evola la sera prima della morte del bambino, in cui si legge, tra le altre frasi, "io volo e Lorenz con me" e che secondo la teste era una loro espressione per indicare "io vado in giro con Lorenz" mentre secondo l'avvocato sarebbe un'ulteriore prova delle intenzioni omicidiarie-suicidiarie della donna. Vitiello ha concluso chiedendo la condanna di Aminta Altamirano Guerrero secondo quanto previsto dalla legge e ha chiesto un risarcimento di 1 milione di euro a favore di Enzo Renda, padre del piccolo, con una provvisionale immediatamente esecutiva pari a 100mila euro, e di 200mila euro a testa per i nonni del bambino, con una provvisionale immediatamente esecutiva, sempre del 10%, più il pagamento delle spese processuali. E' stata, quindi, la volta, dei legali della difesa, a cominciare dall'avvocata Caterina Gruppuso che si è concentrata, in particolare, su alcuni aspetti della vicenda cominciando dall'esame dell'immagine di Aminta Altamirano Guerrero, tratteggiata dall'accusa e dalla famiglia Renda, diversa da quella che era realtà. La difesa ha contestato l'affermazione, contenuta nella requisitoria del pm, che la donna fosse affetta da una profonda sindrome depressiva e che nutrisse un'ossessione malata verso il compagno, così come la presenza, esclusa dagli stessi consulenti nominati dalla Procura, di "deliri e ossessioni". Una donna, certo, dal passato tormentato, segnato dalla perdita di una bimba, morta poco dopo la nascita, ma che non "racconta" di intenti auto o etero lesivi. Una donna con una forte componente "magico-religiosa", proveniente dalla sua cultura, che l'ha portata a vivere con enfasi e "teatralità" i fatti della sua vita. Una personalità "isterica" che tende ad attirare l'attenzione su di sè anche con affermazioni forti, come "il farla finita", salvo poi non avere alcuna intenzione di metterle in atto. "Tutti coloro che la conoscevano, ad Alcamo - ha proseguito l'avvocata - dai vicini, alle maestre del bambino, agli amici, la descrivono come una donna umile ma dignitosa, mai aggressiva, attentissima al figlio Lorenz con cui viveva un rapporto di simbiosi e di interdipendenza affettiva che contrasta con il reato che le si contesta". Caterina Gruppuso ha descritto Enzo Renda come un "testimone inattendibile che ha mentito su aspetti determinanti" del rapporto con la compagna e delle loro vicende. Era la sua famiglia a rifiutare Aminta e il suo bambino, era lui ad averla lasciata perchè denunciato, salvo farsi vivo la sera prima dell'udienza in Tribunale e fare sesso con lei con l'intento di ottenere, come accadde, che la donna "ammorbidisse" le sue dichiarazioni, tanto che il procedimento fu archiviato. Secondo la difesa un ruolo importante nella vicenda è stato ricoperto da Antonino Maniscalchi, cognato di Renda, e impiegato negli uffici della Procura trapanese, che scrisse un esposto contro Aminita Altamirano Guerrero - che il resto della famiglia firmò senza neppure conoscerne il contenuto - andò dalle assistenti sociali per dire che la famiglia Renda non voleva nessun tipo di rapporto con la donna, si recò, insieme alla moglie, da padre Stefano Smedile, un sacerdote che aveva aiutato, insieme ad altri, la messicana, per lamentarsi delle dichiarazioni che questo aveva rilasciato in un'intervista che "gettavano cattiva luce" sulla famiglia. "Lorenz sapeva che la madre assumeva le gocce di antidepressivo - ha concluso Gruppuso - e aveva, come ci hanno raccontato le sue maestre, ottime capacità manuali a differenza di altri suoi coetanei. Lorenz soffriva di una serie di patologie: attacchi d'asma, ipertrofia adenoidea con ipoacusia, respirava male. Non era la madre ad immaginare, o sperare, come ha sostenuto il pubblico ministero, che il figlio fosse malato. Ci sono i referti dei medici che lo hanno avuto in cura ad attestarlo". "Questo processo - ha esordito Baldassare Lauria - suscita una vasta gamma di perplessità dal punto di vista probatorio e anche processuale che esigono la massima attenzione della Corte. Io non ho le certezze del pubblico ministero, che chiede la condanna all'ergastolo, e sono diverse le questioni che attanagliano la mia coscienza". Lauria ha sottolineato l'esistenza di soli elementi indiziari, la mancanza della "prova regina" e la necessità di escludere tutte le evidenze equivoche. L'avvocato della difesa si è concentrato, in prima battuta, sulla "scena del delitto" e ha ricordato che quando questa è "contaminata" o non sufficientemente e correttamente descritta da chi interviene nell'immediatezza dei fatti ciò può rendere il compito dei giudici più arduo se non impossibile. "In questo caso è anche comprensibile - ha detto - perchè gli agenti del Commissariato di Polizia di Alcamo intervennero, in un primo momento, per finalità di soccorso, dopo l'allarme lanciato dalla stessa Altamirano e in quell'appartamento ci fu un grande via vai di persone". Secondo Lauria non sono ben chiare le modalità con cui fu trovato e poi posto sotto sequestro il flacone di Laroxyl da cui proviene la dose di farmaco che ha ucciso il bambino. La Polizia dice che era nel contenitore della spazzatura e la donna tentò di prenderlo ma fu fermata da un agente, mentre Maria Evola afferma di aver visto la boccetta sul tavolo della cucina accanto ad un poliziotto che verbalizzava, e questo prima dell'arrivo del sovrintendente Russo che afferma di essere stato lui a prelevarla dal cestino dei rifiuti. L'avvocato della difesa si è poi concentrato sugli esiti, definiti determinanti, della perizia disposta dalla Corte d'Assise per trovare tracce di DNA sugli oggetti sequestrati nell'abitazione, tra cui lo stesso flacone di antidepressivo. "Evidentemente i conti non tornavano - ha detto Baldassare Lauria - e la perizia chiesta dalla Corte della dottoressa Carra e del dottore Pullara ha cambiato la storia di questo processo, fornendo dati chiari ed evidenti che consentono di ricostruire il film di cosa accadde quella sera". Nella perizia sul DNA si afferma che sul flacone di Laroxyl sono state trovate tracce di almeno venti persone diverse da Aminta Altamirano Guerrero e Lorenz Renda e che gli alleli attribuibili alla donna e al bambino sono, rispettivamente, 654 per l'imputata e 384 per Lorenz, quantitativo quest'ultimo, comunque maggiore di tutte le altre tracce rinvenute, ritenute occasionali. Quanto alla presenza di DNA di Lorenz all'interno del collo del flacone, Lauria ha ribadito che questa risulta dalla perizia, contrariamente a quanto sostenuto dal pubblico ministero, e che tale elemento è fondamentale per affermare che sia stato lo stesso bambino a bere dal contenitore il farmaco che lo ha ucciso. "Il pubblico ministero - ha proseguito l'avvocato - non ci ha detto nulla su come il Laroxyl sia stato eventualmente somministrato al bambino dato che nè sui due cucchiai, nè nella frittata, nè nel latte, nè nel succo d'arancia rinvenuti, sequestrati e sottoposti a perizia, è stata trovata traccia del farmaco. Del resto l'autopsia attesta che nello stomaco del bambino non vi fossero tracce di cibo. Resta, appunto, solo la boccetta come veicolo di assunzione. Lorenz ha bevuto dal flacone, ha richiuso il tappo e, come era abituato a fare perchè era ordinato, lo ha gettato nella spazzatura". "Questo processo - ha affermato Lauria - è frutto di una suggestione della famiglia di Enzo Renda, di rappresentazioni false da parte delle presunte persone offese". L'avvocato della difesa ha offerto spiegazioni plausibili su alcuni comportamenti dell'imputata "che vanno contestualizzati nel suo ambiente socio-culturale, quello messicano, che è diverso dal nostro. Nel suo modo di vedere le cose c'è una grande commistione tra fede cattolica e aspetti pagani, tipici dei Paesi del Sud America, la morte non è un tabù, come da noi, ma un elemento della quotidianità a cui si parla senza imbarazzo anche ai bambini. La sua bimba morta era una presenza 'vivente' all'interno del contesto domestico e per Lorenz". Anche alcuni atteggiamenti e frasi pronunciate nell'immediatezza dei fatti o pochi giorni dopo l'arresto, da Altamirano Guerrerero sarebbero, secondo la difesa, non solo inammissibili come "prove" perchè contrari ai dettami della legge ma anche ininfluenti dal punto di vista della dimostrazione della sua colpevolezza. Lauria è tornato anche sulla questione riguardante la dose di farmaco necessaria per uccidere il bambino "che nessun perito è stato in grado di indicare" e sulla circostanza che, dagli accertamenti effettuati presso le farmacie di Alcamo, nessun'altra confezione era stata acquistata in quel periodo dalla donna. Quindi, se nella boccettina ritrovata era rimasto circa "un dito" di medicinale e questo sarebbe stato assunto da Lorenz dopo che la madre aveva preso la dose prescritta ed era andata a dormire - ha chiesto il difensore - se voleva davvero uccidere il figlio  e poi se stessa con quale altro farmaco Aminta Altamirano Guerrero avrebbe potuto farlo? E se cade questa ipotesi cade tutto ciò su cui l'accusa chiede la condanna". "Se invece Aminta - ha proseguito l'avvocato Lauria - aveva intenzione solo di uccidere il figlio poteva farlo benissimo, chiudere la porta di casa e scappare in Messico. Invece, quando lo ritrovò senza vita fu lei a dare l'allarme, fu lei a chiedere aiuto, fu lei a consentire l'arrivo della Polizia nella sua abitazione. Che senso ha?". "Questa donna - ha concluso - ha amato fino alla fine suo figlio e ha sempre negato e continua a negare di avere ucciso Lorenz. Quella di cui abbiamo parlato durante questo processo non è la scena di un delitto ma di una disgrazia". La difesa ha perciò chiesto alla Corte di mandare assolta l'imputata per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste. La prossima udienza, per eventuali repliche, è stata fissata per il 13 giugno, poi sarà il momento, per i giudici, di decidere della sorte di Aminta Altamirano Guerrero.

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