AttualitàTrapani – In questi giorni, mentre la città discute animatamente del rapporto fra Comune e Trapani Shark, il nome di Ettore Daidone torna a occupare lo spazio pubblico quasi per necessità: è inciso sulla struttura che tutti chiamano “PalaDaidone”, luogo oggi conteso, al centro di confronti, conferenze, comunicati e tensioni.
Ma pronunciare quel nome senza conoscerne la storia significa amputare una parte della memoria collettiva.
Perché Ettore Daidone non è stato soltanto un dirigente, né solo un educatore.
È stato una radice della città, un riferimento silenzioso e costante, un uomo che ha costruito lo sport trapanese pietra dopo pietra, relazione dopo relazione, giovane dopo giovane.
Nato il 21 maggio 1932 e scomparso il 23 luglio 2016 , Daidone ha dedicato allo sport più di sessant’anni di vita, animato da un’energia che – come ricorda il documento ufficiale del Centro Studi – «non aveva uguali» .
Come ricorda il documento, Daidone «incominciò molto giovane praticando il calcio dilettantistico come portiere in una squadra locale» .
Ma quello era solo l’inizio. Ben presto intuì che la vera sfida non era giocare, ma educare. Non allenare, ma formare. Non competere, ma offrire possibilità a chi non le aveva.
Negli anni in cui «non era prevista la possibilità che i ragazzi al di sotto dei 16 anni potessero praticare ufficialmente discipline sportive» , Daidone decise di creare alternative concrete.
Fu qui che nacque l’esperienza della Juvenilia, una realtà ricordata con affetto da chi la visse e troppo spesso ignorata da chi non la conosce.
La Juvenilia non era solo una squadra, e nemmeno una società.
Era un luogo di crescita, costruito con regole, disciplina, valori, entusiasmo.
Un laboratorio sociale dove i giovani trovavano un punto fermo.
Uno dei primi semi dello sport educativo moderno a Trapani.
Parallelamente, Daidone fu protagonista della parabola straordinaria della A.S. Rosmini, società di cui partecipò alla fondazione e che contribuì a portare nei «campionati federali di serie A» .
Un traguardo che segnò un’epoca: Trapani saliva per la prima volta sulle carte nazionali della pallacanestro.
Ma anche in quel successo, ciò che più contava per lui non era la categoria, ma la crescita dei ragazzi, l’idea di una comunità sportiva organizzata, consapevole, unita.
La sua opera più lunga e profonda fu la fondazione del CSI di Trapani, grazie al quale – si legge nel documento – «ha potuto soddisfare tali esigenze per più di 60 anni» .
Il CSI fu un mondo intero:
La sua forza era la capacità di coinvolgere.
Il documento lo descrive come «un catalizzatore capace di accogliere attorno a sé quanti erano disponibili alla collaborazione» .
Una dote rara, non imposta ma naturale.
Nel 1983 Daidone fondò il Centro Studi e Ricerche del CSI, di cui fu presidente fino al 2013 .
Quel Centro Studi divenne:
E ospitò una biblioteca di 11.000 volumi, donata poi al Comune di Buseto Palizzolo nel 2012 «per mancanza di spazi» .
Una visione culturale che oggi appare quasi incredibile, nata senza fondi, senza appoggi, senza promozione: solo grazie alla dedizione.
Per la sua attività ricevette la Stella di Bronzo al Merito Sportivo del CONI e la nomina a Cavaliere della Repubblica, pur essendo – ricorda il testo – «sempre restio ad onorificenze» .
In ogni pagina del documento, la presenza di Luigi Bruno è un filo costante.
Bruno fu la memoria, il collaboratore, il testimone del lungo cammino di Daidone.
Nella premessa scrive:
«Noi siamo grati per quanto ha fatto e per l’esempio che ha lasciato»
Non sono le parole di un collega qualunque: sono il segno di una stima profonda, di una collaborazione durata decenni, di un rapporto umano fatto di rispetto e affetto.
L’opuscolo stesso è un atto di amicizia.
Molti lo ricordano con il nome più sincero: “zio Ettore”.
Un titolo che non si impone: si guadagna.
Il documento racconta che «veniva riverito da giovani e meno giovani con l’appellativo di ‘zio Ettore’» .
È il segno più chiaro del suo modo di esserci: presente, discreto, autorevole.
Oggi il suo nome è associato al palazzetto al centro di una disputa fra Comune e Trapani Shark.
Il rischio – e la responsabilità collettiva – è grande: usare un nome come quello di Daidone senza custodirne il significato.
Daidone non fu mai un uomo di scontro.
Fu un costruttore di ponti.
Uno che cercava soluzioni.
Uno che vedeva nello sport un bene comune, non un terreno di conflitto.
Le sue scelte e le sue parole, per sessant’anni, hanno indicato una direzione chiara:
È una pagina di storia che merita di essere custodita e tramandata. Chi lo vorrà potrà contribuire a mantenerne viva la memoria, affinché il suo esempio continui a parlare alla città.
Uno come lui, di fronte a una disputa pubblica, non avrebbe cercato protagonismi né irrigidimenti.
Avrebbe cercato il punto in cui incontrarsi, non quello in cui dividersi.
Avrebbe ricordato che un impianto sportivo è un luogo della comunità e non un simbolo da rivendicare.
E avrebbe richiamato tutti – con fermezza e mitezza – a una verità semplice:
lo sport appartiene ai giovani, non agli adulti che litigano su di esso.
Ettore Daidone è stato molto più del nome inciso su un palazzetto.
È stato un educatore, un visionario, un organizzatore, un promotore culturale, un compagno leale, un amico sincero, una figura morale.
Ricordarlo nella sua interezza significa non ridurre la sua vita a una intitolazione, ma farne un punto di riferimento per il presente.
Significa affermare che la memoria non è un ornamento: è una responsabilità.
Soprattutto quando la città rischia di smarrire il senso profondo di ciò che uomini come lui hanno costruito.
Ettore Daidone resta una delle pagine migliori della storia civile e sportiva di Trapani.
Sta a noi – oggi – non chiuderla, ma continuarla.

