Trapani – di Rino Giacalone – Prosegue dinanzi al Tribunale di Trapani, presidente giudice Franco Messina a latere le giudici Roberta Nodari e Chiara Badalucco, il processo scaturito dall’operazione antimafia della Polizia, denominato “Eirene”.
A rispondere alle domande del pm Pierangelo Padova è ancora l’ispettore della Squadra Mobile di Trapani Giuseppe Cuciti. Il dibattimento è impegnato oramai da diverse udienze ad ascoltare l’investigatore chiamato a dare nomi e cognomi alle voci intercettate durante le indagini e trascritte nella voluminosa informativa che poi ha portato la Polizia a eseguire decine di misure cautelari disposte dal gip del Tribunale di Palermo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo dell’isola.
A emergere ancora una volta il nome di uno dei principali indagati, Giosuè Di Gregorio, 55 anni, ancora detenuto, segue dal carcere in video conferenza il dibattimento, che agli interlocutori si presentava come “rappresentante della famiglia (mafiosa ndr) di Alcamo” e spiegava che a Trapani, dove abitava e per un periodo gestiva anche un ristorante, “ne curava gli interessi”.
“Io faccio il malandrino per campare” è stato sentito dire, mentre si vantava di essere “un sorvegliato speciale”.
Con Giosuè Di Gregorio gli interlocutori di turno andavano a parlare di “controversie da sistemare, estorsioni” ha sottolineato l’ispettore Cuciti rispondendo a una specifica domanda del pm Padova. Dalla voce del Di Gregorio anche i ricordi del passato: diversi i suoi riferimenti alla guerra di mafia scoppiata ad Alcamo nei primi anni ’90. Una sanguinosa faida segnata da decine di morti ammazzati. Giosuè Di Gregorio così ha ricordato di quando lui e il suo gruppo stavano dalla parte dei Greco, che sfidarono le potenti famiglie mafiose dei Milazzo e dei Melodia. “Erano quelli di San Giuseppe Jato che venivano a sparare, noi poi ci siamo messi da parte”.
Tra le contestazioni trattate nel corso dell’udienza la presunta estorsione subita dal gestore del centro ippico “Horsing Jumping Ranch” di Alcamo, Graziano Silaco, conseguente ai contrasti insorti tra questi e un suo socio Giuseppe Caruso; vicenda che vede coinvolto l’ex vice sindaco di Alcamo, l’imprenditore Pasquale Perricone intervenuto contro Silaco, avvalendosi del Di Gregorio, per tutelare Caruso, suo genero. “Pasquale – così è stato sentito dire Giosuè Di Gregorio parlando con Perricone di Silaco – questo quando ci vede si piscia addosso”.
L’investigatore si è soffermato sulle intercettazioni riguardanti un’altra presunta estorsione ai danni del titolare di una officina meccanica e l’assunzione fittizia presso una impresa di un giovane pregiudicato trapanese, Ivan Randazzo. Tra le vicende trattate anche quelle inerenti un intenso traffico di droga e il possesso di armi e munizioni da parte di alcuni degli indagati.
L’indagine risale tra il 2021 e il 2023, coordinata dalla Procura di Palermo, è stata condotta dalla Polizia di Stato, dalle Squadre Mobile di Trapani e Palermo, dal Sisco e dal Servizio Centrale Operativo. Gli imputati sono a vario titolo accusati , di associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale politico mafioso, estorsione e spaccio di stupefacenti aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa, nonché traffico di influenze, violazione di segreto d’ufficio e porto e detenzione illegale di armi.
L’inchiesta avrebbe consentito di documentare gli assetti e il rinnovato dinamismo criminale delle “famiglie” mafiose di Alcamo e Calatafimi, e i loro riferimenti nell’ambito del capoluogo trapanese, dove attività commerciali avrebbero fatto da paravento agli interessi criminali nel settore della distribuzione alimentare e del mercato immobiliare, nel settore dell’edilizia, del movimento terra e della compravendita di autovetture. I poliziotti hanno anche scoperto il ruolo dell’alcamese Francesco Coppola, ritenuto il reggente del mandamento di Alcamo
L’inchiesta ha inoltre documentato l’esistenza di un connubio affaristico – mafioso in occasione di competizioni elettorali, reato contestato oltre che a Perricone anche all’ex senatore Nino Papania, imputati di voto di scambio politico mafioso.