Trapani – di Rino Giacalone – Ancora una volta una cerimonia per pochi intimi. Accade da anni, forse da sempre, il ricordo del giudice Alberto Giacomelli, ucciso dalla mafia il 14 settembre 1988, è scivolato via stamattina nella piazzetta a lui dedicata, di fianco al Palazzo di Giustizia, con un momento sobrio, come chiesto ogni anno dai familiari, ma l’essere sobrio non comporta dire che sono giustificate le assenze.
A parte le autorità, istituzionali, militari, un pugno di amici della famiglia Giacomelli, il sindaco Giacomo Tranchida, la Presidente del Tribunale, giudice Alessandra Camassa, c’era il silenzio degli assenti.
Dispiace, perché questa è una vicenda che ogni giorno, come altre , dovrebbe suscitare ondate di indignazioni, per come quel giudice, oramai in pensione, venne ammazzato, e per il dopo…come per tutti i delitti di mafia al piombo ha fatto seguito l’azione per colpire moralmente la figura di quell’uomo. Ucciso per vendetta, ammazzato per ordine di Totò Riina, il sanguinoso capo della Cosa nostra siciliana, diede quest’ordine all’indomani della confisca definitiva della casa di Mazara di proprietà del fratello, Gaetano Riina.
Stamattina nello slargo a lui dedicato , dove l’Amministrazione Comunale ha deposto una corona d’alloro, don Giuseppe Giacomelli, uno dei figli del giudice, ha ricordato in due parole la confidenza del padre, “mi disse che era sicuro che quel provvedimento poteva causargli gravi conseguenze, ma era certo di aver fatto il proprio dovere”. Quello che è accaduto dopo forse il giudice Giacomelli non sapeva, cioè la sporcizia di parole che gli avrebbero buttato addosso. Non la ripercorriamo, ma basta solo ricordare che come per altri delitti, per scrivere la verità sull’omicidio sono serviti tanti anni, per fortuna si è arrivati alle condanne, grazie alla caparbietà di un paio di investigatori dei Carabinieri, dei magistrati della Procura antimafia di Palermo, e di una Corte di Assise che seppe tirare fuori dagli archivi la verità, si perché c’era una verità finita negli archivi di una società civile succube della cultura mafiosa.
Eppure ancora oggi sul delitto di Alberto Giacomelli manca la consapevolezza. Lo ha spiegato stamane alla cerimonia la presidente del Tribunale, giudice Alessandra Camassa. E’ una storia dimenticata. Non se ne parla nemmeno in modo sufficiente, siamo all’insufficienza assoluta. L’omicidio è uno dei capitoli della guerra intentata da Cosa nostra contro le istituzioni, non a caso il suo delitto anticipò di qualche giorno l’assassinio a Caltanissetta del giudice Saetta e del figlio, e quello del giornalista e sociologo Mauro Rostagno, tutti e tre, come altri, erano “camurrie” che Totò Riina , così li definiva, ci sono i collaboratori di giustizia come Vincenzo Sinacori, che lo hanno raccontato, decise di eliminare, con i killer e poi con chi nei giorni a seguire descrisse scenari e moventi lontani dalla verità, fu realizzata una realtà di comodo, ricca di depistaggi, e la società civile stava a leggere e ad ascoltare, senza porsi domande.
E’ amaro tutto ciò, ma oggi, giorno del ricordo, è anche di questo che dobbiamo scrivere. Amaro che le voci dissacranti sul giudice Giacomelli venivano fuori anche dagli ambienti giudiziari, da quel “ventre mollo” che all’epoca serviva a far circolare notizie, a spiare il lavoro dei magistrati o ad introdurre pezzi di racconti inquinanti. Ogni qualvolta la politica affronta il tema, anche strumentalmente, della legge sulle confische dei beni ai mafiosi, dovrebbe soffermarsi di più sulle ragioni per le quali il giudice Alberto Giacomelli a 68 anni, già in pensione, venne ucciso da un commando, purtroppo rimasto senza volto, anzi, i volti ci sono ma sono mancate le prove per condannarli, nomi pesanti, come quello di Pietro Armando Bonanno oggi imputato in un processo che riguarda la cupola mafiosa non dei tempi andati, ma appena di ieri.
Giacomelli fu ucciso nelle campagne di Locogrande, frazione di Trapani, oggi terra del Comune Misiliscemi. Regno delle coppole e delle lupare, le stesse che con la politica sedevano allo stesso tavolino. Il racconto di oggi sarebbe incompleto se non si dicesse della Chiesa. Di quel sacerdote che per essere il fratello del giudice ammazzato venne sollecitato dall’allora Vescovo di Trapani a star lontano da Papa Benedetto XVI durante la sua visita a Trapani, per fortuna un altro sacerdote, don Luigi Ciotti mise riparo facendolo abbracciare da Papa Francesco, o ancora quel sacerdote che disobbedendo al Vescovo di Mazara, celebrò i funerali di Gaetano Riina. Funerali vietati da quella Chiesa e dal Questore di Trapani.
Insomma di cose da raccontare ai nostri giovani ce ne sono tante, non solo sul giudice Giacomelli ma soprattutto su questa vittima innocente della mafia. Raccontare il passato per leggere il presente.